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È detto “Via Francigena di Sigerico” l’importante itinerario che univa l’Europa del nord a quella mediterranea in epoca medievale. Partiva da Canterbury in Inghilterra, attraversava il Kent e poi, passata La Manica, proseguiva in Francia attraversando il Pas de Calais, la Picardie, lo Champagne, le Ardenne e la Franche-Comté, infine si inoltrava in Svizzera toccando i cantoni del Vaud e del Vallese, quindi, passate le Alpi, collegava la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, l’Emilia Romagna, la Toscana e il Lazio con Roma.
Questo cammino era un insieme di percorsi per la maggior parte ricalcanti l’antica viabilità romana, che, dopo aver divaricato gli uni dagli altri, tornavano a ricongiungersi nei punti nodali (città, ponti, passi alpini ecc), tanto che si intende per Via Francigena un territorio-strada dai confini indefinibili. D’altronde, a causa delle divisioni politiche (vedi le lotte tra Vercelli e Ivrea), e della totale mancanza di manutenzione, nel medioevo non sarebbe stato possibile al viandante essere vincolato ad un unico tracciato.

Si deve al resoconto fatto nel 994 d.C. dall’ arcivescovo di Canterbury Sigerico, nel suo viaggio di ritorno da Roma, dove si era recato per ricevere il palio (mantello vescovile) da Papa Giovanni XV, che la Via Francigena trova una sua unitarietà, in quanto le 79 tappe o sub mansiones, citate dal vescovo inglese nel manoscritto conservato presso la British Library di Londra, sono ancora individuabili in epoca moderna (in Piemonte cita Vercelli, Santhià ed Ivrea). Nel 2004 il Consiglio d’Europa ha dichiarato questo itinerario, analogamente al Camino di Santiago di Compostela in Spagna, “Grande Itinerario Culturale Europeo”, favorendo la nascita dell'Associazione Europea delle Vie Francigene, raggruppante gran parte delle località toccate dall’itinerario.

È doveroso accennare che in Piemonte esisteva un secondo itinerario medievale chiamato Via Francigena, forse perché anche questo percorso da viandanti provenienti dalla Francia del sud e dalla Spagna e diretti a Roma. La strada saliva dalla Provenza al Moncenisio, scendeva in Val di Susa, transitava ai piedi della Sacra di san Michele, toccava Torino e poi, costeggiando il Po, raggiungeva il potente Comune di Vercelli, dove confluiva anche l’altra via Francigena proveniente dal nord Europa. Considerato l’andamento è ovvio che questo era anche l’itinerario preferito dai pellegrini provenienti dall’Europa del sud, o perlomeno dall’Italia, diretti al santuario di san Giacomo di Compostela in Spagna.

Come è facile comprendere la via Romea Canavesana è quindi una variante dell’itinerario di Sigerico, che, al contrario del tragitto tradizionale, a Ivrea dirige a sud e si inoltra lungo le colline dell’ Anfiteatro Morenico, per poi, superata la Dora Baltea a Mazzè, uscire nella pianura vercellese verso Livorno Ferraris e Vercelli. La Via Romea Canavesana è però anche una macro associazione formata da associazioni, studiosi e appassionati che si propone di promuovere e curare un tratto di percorso Romeo di circa 80 chilometri, valorizzando nel contempo le notevoli risultanze romaniche ancora esistenti per la maggior parte in stato di abbandono. Il modus operandi è stato quello di cercare la collaborazione delle associazioni o dei singoli appassionati presenti lungo l’itinerario, in modo da creare una rete di interessi di varia natura che supportasse l’iniziativa, trovando sempre buona accoglienza. Curiosamente, il fatto che l’itinerario si snodasse in due provincie diverse non ha creato ostacoli, anzi al contrario è stato considerato come un riannodarsi di legami antichi andati un disuso, ma ancora vivi nella memoria della gente.

Livio Barengo

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