Storia in soffitta
La crocifissione di Aimo Volpi
piccolo gioiello d’arte a Livorno Ferraris
approfondimento di: Elena Furini
Un’espressione che ispira devozione e rispetto è quella del volto del Cristo della tavola quattrocentesca attribuita ad Aimo Volpi.
Un volto ritornato all’antico splendore, riaffiorato a seguito di un intervento di restauro che ha portato alla luce un intero capolavoro del tardo rinascimento piemontese. La tavola, raffigurate Cristo sulla croce, si trova a Livorno Ferraris e nel maggio del 2008 nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Livorno Ferraris era stato presentato il restauro. E’ proprio in questa chiesa livornese che la tavola della Crocifissione era stata custodita per tanti anni, con un aspetto completamente stravolto rispetto all’originale. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare quello che in realtà era il vero valore dell’opera. I lavori di restauro sono stati affidati dal Comune di Livorno Ferraris alla ditta Nicola Restauri di Aramengo. Un laboratorio fondato da Guido Nicola e dove, oltre ai dipendenti, lavora tutta la sua famiglia. La passione per questo lavoro è stata condivisa con Guido Nicola prima dalla moglie Maria Rosa Borri e col tempo anche dai figli Gian Luigi e Maria Rosa e dai loro rispettivi consorti. Il laboratorio è specializzato in molti settori, conosciuto e punto di riferimento per collezionisti, enti pubblici e privati, italiani e stranieri, per il recupero di capolavori d’arte di ogni tempo. Il laboratorio ha lavorato a restauri e recuperi in tutto il Piemonte. Lavori eseguiti non solo su affreschi, tele e pitture; ma anche su statue e sculture custodite in diversi luoghi: dal Sant’Andrea di Vercelli al Santuario di Crea, dal duomo di Asti al San Gaudenzio di Novara, o, ancora, al Monte dei Cappuccini di Torino e tanti altri, compresa la cattedrale di Sant’Orso in Valle D’Aosta. Il restauro pittorico ha permesso all’opera di essere rinnovata e pulita e, grazie alla riflettografia ad infrarossi, è stato recuperato il disegno preparatorio dell’autore. Così è stato mostrato non solo l’aspetto originario del volto del Cristo della tavola del Volpi; ma anche la versione del paesaggio dello sfondo più vicina all’originale. E’ stata, quindi, una sorpresa quella che si è presentata agli occhi dei restauratori che hanno riscoperto interessanti particolari della vicenda dell’opera.
La tavola era stata oggetto di pesanti ridipinture e rifacimenti. Interventi e manipolazioni che avevano riguardato la pittura e la cornice. La prima era stata interamente rifatta e stravolta, la seconda era stata ricoperta con carta colorata incollata con colla animale e ridipinta. Le radiografie eseguite per analizzare il colore hanno, inoltre, permesso di avere notizie delle stuccature che erano state eseguite, sul posizionamento di chiodi e sull’assemblaggio della tavola (che risulterebbe anche ridotta nelle dimensioni sia sul lato superiore, sia su quello inferiore). Il lavoro di restauro vero e proprio è stato condotto da Anna Rosa Nicola e dal marito Nicola Pisano, che hanno raccontato di essersi affezionati in modo particolare all’opera. La pulitura è stata eseguita chimicamente e a bisturi.
Un intervento delicato e, in certe fasi, particolarmente difficile. La tavola è stata realizzata in parte con la tecnica ad olio (il paesaggio) ed in parte con la tecnica a tempera (l’incarnato). La parte meglio conservata era quella raffigurante il paesaggio. Il volto ed il corpo del Cristo, tema centrale della raffigurazione, erano invece altamente degradati. Ed è proprio nel recupero della figura del Cristo che è iniziata la parte più critica del restauro. Tuttavia, il fatto di essere riusciti a recuperare il disegno preparatorio attraverso la riflettografia ad infrarossi, ha fornito uno spunto per ricomporre quello che era l’aspetto del Cristo e del crocefisso. Inoltre sono emersi interessanti particolari sul paesaggio, che attualmente risulta più vivo e ricco di sfumature di colore.
Ma come sarebbe arrivata a Livorno Ferraris questa tavola attribuita al Volpi? Giovanni Romano dell’Università degli studi di Torino ha fornito alcuni spunti di riflessione.
Livorno Ferraris è a una distanza intermedia tra Vercelli e Casale Monferrato. E’ un centro che ha avuto la fortuna di trovarsi in un crocevia di strade che collegano e collegavano Vercelli, Torino, Casale Monferrato, su uno dei tratti della famosa via francigena e di altre strade percorse da pellegrini. Fu, quindi, in una posizione favorevole allo scambio e alla circolazione di merci e cultura.
Nel Quattrocento la zona tra Vercelli e Casale fu uno dei luoghi dove il pittore Martino Spanzotti sostò a lavorare. Spanzotti fu un importante esponente della pittura rinascimentale in Piemonte. Visse tra il 1455 e i primi vent’anni del Cinquecento (morì a Chivasso intorno al 1528). Probabilmente si formò come pittore a Milano, dove entrò in contatto col Foppa e Bramante, e dove può darsi sentì anche l’influsso della pittura fiamminga e di altre culture. Spanzotti era famoso in Piemonte per gli affreschi della chiesa di San Bernardino di Ivrea e la sua presenza è documentata anche a Vercelli. I suoi cognati furono proprio i fratelli Aimo e Balzarino Volpi e tra il 1498 e il 1502 lavorarono con lui nella sua bottega di Casale. Sono molte le ipotesi per cui l’opera potrebbe essere arrivata a Livorno Ferraris: può darsi che facesse parte del patrimonio di qualche ricca famiglia che lo donò alla chiesa, o magari era parte, poi smembrata, di qualche polittico. La cosa curiosa è che sono pochi i quadri rimasti di Spanzotti, molti invece quelli prodotti dalla sua bottega. In particolare, i Volpi di Crocifissioni ne realizzarono almeno tre versioni, tutte anche utili nel corso dell’intervento di restauro della tavola livornese. A Livorno Ferraris era presenta anche un'altra opera attribuita ad Aimo Volpi: il dipinto denominato “La Madonna delle fragole”, che un tempo si trovava nella chiesa di San Francesco.
Ma questa…E’ un’altra storia…