Storia in soffitta
Un Cavaliere sul balcone
Il curioso epilogo di un templare morto a Vercelli
approfondimento di: Franca Giusti
“A egregie cose il forte animo accendono l’urne dei Forti o Pindemonte
e bella e santa fan al peregrin la terra che le ricetta…” (U. Foscolo da I Sepolcri)
Quando i cimiteri domestici, quelli adiacenti le chiese, furono smantellati e trasferiti in sobborghi, secondo quanto imposto dai nuovi criteri igienici dettati dal decreto napoleonico, editto di Saint Cloud del 1806, molte lastre tombali andarono perse o distrutte. Qualcuna più fortunata fu semplicemente abbandonata all’incuria e qualcun’altra recuperata ed utilizzata nell’edilizia civile. Potrebbe esser stato questo il destino della lastra tombale del crociato Jean de Soisy ora custodita nel museo dedicato al notaio Camillo Leone di Vercelli.
Vercelli era collocata nella rete dei capisaldi templari fondati per controllare le strade del Piccolo e Gran San Bernardo; da Vercelli si diramavano strade con presìdi a Pavia, Ivrea, San Giorgio, Chivasso e Torino. Un terzo dei Templari, ben cinquemila, nel XIII secolo, aveva base in Piemonte e vigilava sulla via Francigena che conduce i pellegrini dalle Alpi a Roma.
Se parlassero il Piemontese non ci è dato sapere ma senza dubbio dovevano conoscere bene la lingua del posto tanto che proprio in questa lingua, proprio a Vercelli, furono composti, tra il 1179 ed il 1190, i ventidue “Sermoni Subalpini”, sussidi per i predicatori e guida per le loro omelie. Piemontese era anche il comandante, il “Precettore d’Italia”, con sede a Vercelli, Robaldo da Moncalvo.
Nell’anno 1283 si svolse a Roma il processo di canonizzazione di Luigi IX, padre del re di Francia Filippo III l’Ardito, morto in Tunisia. Il nobile cavaliere Jean de Soisy, fedele vassallo dell’Ille-de-France fu mandato dal re a testimoniare in quel processo di canonizzazione di San Luigi e, sulla strada del rientro da Roma, si fermò a Vercelli. Ci vollero ben dodici anni prima che la canonizzazione di Luigi si concretizzasse e solo alla fine Jean, dal suo castello ad una manciata di chilometri da Parigi, partì alla volta di Roma, passando, andata e ritorno, da Vercelli.
Jean de Soisy, uomo medievale di bell’aspetto e sulla cinquantina, come sembrerebbe dal ritratto sulla pietra che gli servì da tomba, era scampato a una crociata, e forse a due. Aveva guadagnato la stima del re Filippo e forse apparteneva alla cerchia dei vassalli più fedeli di Luigi IX, re fanciullo, re cristiano. Quando in Francia giunse la notizia che i baroni dell’impero latino di Costantinopoli, in preda alla necessità di denaro, decisero di vendere la più preziosa reliquia conservata a Costantinopoli, la Corona di spine di Gesù, il re di Francia si adoperò subito per ottenerla e, dopo lunghe trattative, la sacra Reliquia giunse in Francia. Ebbene, il figlio, Filippo III l’Ardito, aveva mandato Jean a Roma non solo perché apparteneva a quella nobiltà a lui più vicina ma probabilmente anche per la sua Fede.
Luigi, san Luigi, partì da Aigues-Mortes con una flotta di galere in crociata per la prima volta nel 1248, a 34 anni; i suoi strateghi gli avevano consigliato di sbarcare in Egitto, per colpire quella che allora era la potenza più dinamica del mondo musulmano, e arrivare a Gerusalemme da una direzione inattesa. Tra i suoi vassalli c’era Jean. Anzi, forse fu proprio Jean de Soisy a trattenerlo con la forza quando Luigi, il re crociato, con lo scudo al braccio e un elmo d'oro in testa, saltò nell'acqua bassa e, vedendo un gruppetto di turchi che sorvegliavano lo sbarco, tenendosi a prudente distanza, volle precipitarsi da solo contro di loro.
Furono giorni difficili quelli, un fratello del re, Roberto d'Artois, fu ucciso dopo aver attaccato sconsideratamente il nemico, in un litigio coi Templari su chi doveva avere l'onore di cavalcare all'avanguardia. L'altro fratello, Carlo d'Angiò, passava il tempo giocando a dadi, di nascosto dal re che quando lo sorprese gli buttò in mare dadi e quattrini. Molti erano i crociati in preda alla dissenteria che li decimava. Pochi tornarono da quella crociata e fra questi, Jean. Fu proprio lui, Jean de Soisy a radunare la spedizione per la seconda crociata circa una ventina d’anni più tardi. Il cavaliere Jean partì al fianco del suo re. Lo sbarco avvenne a Tunisi. Carlo d'Angiò nel frattempo era diventato re di Sicilia. Questa crociata fu l’ultima per il re Luigi che morì in Tunisia. Jean de Soisy tornò al suo castello vicino a Parigi, mentre la diplomazia capetingia e quella pontificia negoziavano la canonizzazione del defunto re. Nel 1283 dunque, per testimoniare nel processo di canonizzazione di papà Luigi IX, il re Filippo III l'Ardito mandò Jean a Roma per testimoniare in fase di canonizzazione. Jean andò e tornò, ma giunto a Vercelli, su quella stessa via percorsa dai pellegrini, Jean de Soisy si sentì male e morì. Lontano dalla sua terra e dalla famiglia, fu probabilmente sepolto in una chiesa dei dintorni, fino a quando il cimitero, con l’editto napoleonico, fu smantellato ed il cavaliere rimosso con tanto di lapide. La lastra tombale però dovette proprio piacere ad un abitante del posto che la prese ed utilizzò nella costruzione del balcone. Una nuova casa ed una nuova famiglia portavano avanti il ricordo del cavaliere Jean de Soisy: bello, abito lungo e maniche svasate, i capelli accuratamente pettinati nel taglio in voga nel tardo '200, sguardo fisso innanzi a sé senza paura, come si conviene ad un cavaliere. Poi, circa un secolo fa, Jean de Soisy entrò a far parte della collezione di antichità del notaio Camillo Leone e dunque nel museo. Sono la spada e lo scudo che ha accanto a raccontare di Jean, del suo rango e del suo incarico ed una scritta conferma: «Il 13 agosto morì il nobile cavaliere messer Jean de Soisy, della diocesi di Parigi». Un cavaliere della Fede, a mani giunte in atto di orazione, all'altezza delle spalle si leggono tre parole incise: pregate per me.